Riscontro alla nota di Giunta dell’Unione delle Camere Penali del 11.1.2022 – RA EMERGENZA SANITARIA E LIBERTÀ FONDAMENTALI DELLA PERSONA. CENNI PER UNA RIFLESSIONE – Avv. Stefano Stochino

Suscita interesse, in questi giorni, una nota recante la sintesi di riflessioni svolte dalla Giunta dell’Unione Camere Penali Italiane, pubblicata l’11 gennaio 2022, secondo cui talune critiche mosse verso l’operato dell’esecutivo in questi ultimi tempi, da alcuni gruppi ed associazioni di avvocati, siano inaccettabili, per la loro erronea percezione dei diritti garantiti dalla Costituzione, in costanza dell’emergenza pandemica.

L’argomentazione posta in premessa alla nota citata, verte sulla possibilità, riconosciuta dalla Costituzione, che lo Stato possa imporre un trattamento sanitario in caso di necessità ed urgenza dovuti ad emergenze, appunto, di tipo sanitario, tali da giustificare un atto di forte incisività.

La riflessione si sposta poi sulla denunciata violazione del diritto di difesa a proposito della prescrizione normativa del D.L. n. 1/22, che introduce l’obbligo di esibire la certificazione verde di base per l’accesso alle sedi giudiziarie, anche per gli avvocati.

La nota della UCPI non tiene conto delle coercizioni connesse all’obbligo vaccinale, soprattutto quando ignora che l’imposizione di un trattamento sanitario dovrebbe recare con sé una assunzione di responsabilità da parte dello Stato, anche questa tendente alla tutela della salute del cittadino sottoposto al trattamento e non dovrebbe pregiudicare in luogo della salvaguardia della salute, la dignità della persona la quale, se non sottostante all’obbligo mediante la firma di un fasullo consenso – peraltro non previsto dalla legge nel caso della obbligatorietà del trattamento – venga sanzionato pesantemente con la sospensione dall’esercizio della professione e dalla percezione della retribuzione, senza vedersi garantito il minimo alimentare; tali aspetti, con ogni probabilità, si estenderanno anche alla categoria forense, pertanto la nota in commento avrebbe dovuto considerare tale reale dato.

Ciò appare piuttosto afflittivo per una democrazia che si presenti statutariamente come fondata “sul LAVORO”; perciò stupisce la nota dell’associazione dei penalisti italiani, nel momento in cui, trascurando queste pur agevoli riflessioni, non comprende che l’obbligo di esibire la certificazione attestante l’avvenuto tampone antigenico da parte degli avvocati, per avere accesso alle aule di giustizia, rappresenti il preludio ad un obbligo che si vuole estendere in maniera assoluta, caricando degli oneri sanitari lo stesso utente.

Il dissenso che si dovesse manifestare nella denegata ipotesi dell’attuazione di tale nefasta prospettiva, porterebbe a disagi enormi su un’altra area costituzionalmente tutelata, ovvero quella della giustizia. Dopo la Sanità, l’Ordine Pubblico e la Scuola, un altro pilastro tutelato dallo Statuto, vede minata la propria stabilità e la dignità di chi vi partecipa in modo diretto ed attivo.

Le norme espresse dall’articolo 32 della Costituzione, come pure dall’articolo 16 della stessa Carta per quanto concerne la libertà di circolazione, non prevedono una azione generale preventiva, ma l’incidere dello Stato di fronte a specifici casi di conclamata infezione, ciò anche nella prospettiva preventiva, ponendo limiti determinati di fronte al caso concreto, non si parla di una azione generalizzata giustificata da assunti teorici ed ipotesi vaghe, ma di azioni legislative che mirino in ogni caso a tutelare tutti gli interessi costituzionalmente garantiti.

Pare che le norme coercitive da ultimo pubblicate, in materia di contagi da SARS-COVID 19, stiano in maniera discriminata e discriminante, incidendo gravemente su equilibri sociali e sfere individuali, delle cui pregiudizievoli conseguenze si finge di non comprendere il reale disastro.

Tutto ciò manca nelle riflessioni pubblicate dalla Giunta della UCPI, la quale si sofferma sul diritto di difesa, al quale viene rivolto un esplicito avvertimento: le sorti dell’esercizio di tale tutela seguiranno il corso già segnato per altri settori: in ciò risiede il senso della polemica e dell’allarme sollevati in questi giorni.

Secondo la UCPI, il fatto di ammettere e constatare la sussistenza di una emergenza pandemica, mal si concilia con le critiche mosse rispetto alla compressione dei diritti naturali tutelati dalla norma fondamentale.

Viceversa, sostiene sempre la nota dell’associazione dei penalisti italiani, il disconoscimento di tale emergenza, riporrebbe nei termini leciti tali critiche.

Secondo la nota in questione, inoltre, l’atteggiamento di taluni avvocati sarebbe finanche pretestuoso, poiché agitato dal fatto che, il decreto-legge n. 1 del 7 gennaio 2022, l’esibizione della certificazione verde “base”, per l’accesso alle sedi giudiziarie anche da parte degli appartenenti alla categoria forense, tocchi direttamente questi professionisti, i quali argomentano sostenendo che il provvedimento violi il diritto di difesa.

La nota è piuttosto generica e non identifica precisamente gruppi ed associazioni forensi indicandone le denominazioni, tuttavia pare opportuno precisare che, coloro che attualmente criticano questo ulteriore passo dell’Esecutivo, non abbiano destato la loro azione da ultimo, ma da tempo abbiano sollevato le loro critiche anche verso la violazione di tutti i diritti considerati dai provvedimenti legislativi legati alla pandemia da SARS-COVID 19, argomentando sempre con il lume della Carta Costituzionale.

Lo si è fatto per il contesto sanitario e dell’istruzione, come pure per il comparto delle forze armate. Lo si è fatto e lo si continua a fare; ricorsi giurisdizionali venivano interposti già prima che la decretazione di urgenza si rivolgesse agli avvocati.

Ancora non pare condivisibile il ragionamento svolto dall’Unione CPI, secondo cui, l’ammettere che vi sia un’emergenza debba comportare la conseguente accettazione di ogni compressione dei diritti garantiti dalla Costituzione. Ciò è illogico e svilisce il ruolo del giurista e, nello specifico dell’avvocato, sostanzialmente neutralizzando qualsiasi approfondimento della normativa, alla luce dei principi costituzionali, costringendo all’interno di una forzatura, l’adeguamento alla decretazione di urgenza, debellato ogni dovere esegetico, eticamente correlato alla funzione del professionista forense, connaturale, peraltro, alla figura del difensore.

I provvedimenti legislativi connessi al fenomeno pandemico in atto, si sono spinti fino alla “chiusura totale”, il cd. lockdown, precludendo il libero esercizio delle attività ordinarie, professionali, fortemente limitando la libertà di locomozione delle persone, come noto a tutti; finanche l’obbligo vaccinale per alcuni settori professionali, conta una sua esperienza; tuttavia, ad oggi, si assiste ad un muoversi del fenomeno virale, ad un persistere ed aumentare dei contagi con oltre l’80% della popolazione italiana vaccinata.

Pacifico, nel mondo scientifico, risulta finanche il dato secondo il quale la carica virale di un vaccinato rispetto a quella di uno vaccinato sia equivalente.

Di fronte a tali constatazioni, pur ammettendo la sussistenza dell’emergenza, occorre valutare sotto il profilo procedurale e metodologico, quali aree tutelate dalla costituzione possono essere sacrificate ed in quale misura.

L’operante discriminazione tra vaccinati e non vaccinati è una scelta ideologica. La stessa pretesa dell’effettuazione di un tampone antigenico anche per i soggetti già vaccinati, comporta l’ammissione della inidoneità vaccinale a fronteggiare il fenomeno dei contagi; pertanto, il persistere con la perversa differenziazione sociale tra categorie di soggetti con o senza copertura da “vaccino”, coinvolge innanzitutto il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione.

Uguaglianza formale – comma primo -, ma anche sostanziale – comma secondo -; lo Stato deve attuare tutti gli strumenti idonei a garantire il concretizzarsi dell’uguaglianza formalmente sancita. Oggi assistiamo al perseguimento della finalità opposta, ovvero l’accentuazione della disparità di trattamento dei cittadini, ciò sulla base della apodittica enunciazione di una colpa insita in coloro che non sono vaccinati. Ma non sfugge ad alcuno che, l’obbligo della certificazione di base rappresenti il preludio all’obbligatorietà vaccinale che, come dimostrano gli ultimi decreti promulgati, rappresenta la reale finalità politica dell’Esecutivo, con l’imposizione, senza alcun onere per lo Stato, di un trattamento sanitario.

Stupisce anche la superficialità con la quale si liquidi la discussione, sul tema qui di interesse, col solo “ombrello emergenziale”, fingendo, da giuristi ed avvocati, che sia cosa normale imporre ad un cittadino la vaccinazione e poi dissimulare tale obbligo con una richiesta, da far sottoscrivere allo stesso utente, con cui appare che questi chieda di essere sottoposto al trattamento ed al contempo liberi e sollevi il vaccinatore da qualsiasi responsabilità in ordine alle conseguenze dell’atto.

Eppure, quante pagine sono state scritte sul concetto di volontà, di obbligo, di imposizione e di equità…

La tanto studiata equitas rappresentava il principio cardine dell’applicazione giuridica pratica del mondo medievale, secondo le caratteristiche permeanti il contesto particolare e locale dell’incisione normativa nei rapporti sociali tra le persone e tra queste e lo Stato, così sciattamente ignorata da chi oggi dovrebbe rappresentare la continuità con la tradizione della nostra civiltà giuridica.

Il dissennato agire dell’Esecutivo può rappresentare uno dei tanti momenti bui della storia di una nazione, ma, se per il politico può apparire ordinario determinare tali oscurità, non per il giurista, non per l’avvocato ciò deve essere consentito.

Dunque, occorre intendersi, circa il concetto di emergenza e l’uso che di tale presupposto intende farsi.

Da un lato, laddove si dovesse riconoscere il sussistere di tale stato, apparirebbe ovvia conseguenza l’ammettere l’applicazione di determinati rimedi verso chiunque, ovvero anche nei confronti di categorie professionali che esercitino funzioni costituzionalmente garantite; dall’altro lato, il disconoscere la presenza della condizione emergenziale, aprirebbe lecitamente lo spazio ad ogni critica sull’operato del legislatore, non ultimo lo strumento della decretazione di urgenza.

Ciò, tuttavia, ridurrebbe la complessità del fenomeno ad un mero esercizio di logica binaria, sovvertendo l’insita virtù del giurista, di indagare nel profondo la realtà sociale per approntare, alle problematiche ad essa connesse, il rimedio conforme all’ordinamento ed ai principi cardine che questo deve manifestare nel pratico ossequio alle tutele espresse dalla norma fondamentale.

La limitazione delle libertà fondamentali, il precludere il libero accesso alle istituzioni, imponendo un trattamento sanitario quale “lasciapassare” per poter svolgere la propria quotidiana esistenza, ma al contempo non assumendosi delle responsabilità delle conseguenze di tale agire, rappresenta una violazione dei diritti fondamentali della persona, a fronte di una emergenza che, nello specifico, ha già manifestato i propri connotati di offesa e di azione, verso i quali, gli estremi provvedimenti adottati coi decreti legge ultimamente varati, si sono mostrati inefficaci, esorbitanti nella loro afflittività ed inidonei per le finalità che li hanno generati.

Non è pertanto sufficiente parlare di emergenza, ma occorre soppesarne la portata alla luce dei tentativi già attuati, sempre in una visione di tutela dei diritti fondamentali della persona, ai quali preminentemente deve essere dato riguardo nell’operare legislativo.

Nessuna velleità, dunque, nella polemica, di affermare un privilegio per una casta, incuranti degli obblighi imposti agli altri, ma una proposta di riflessione per tutte le persone e con riguardo a tutti i passaggi legislativi compiuti con sconcertante frenetica produzione.

Manca il momento parlamentare; manca il confronto democratico; manca la volontà di una percezione tattile del fenomeno sociale, improntata ad un intercalare in esso il giusto mezzo che il diritto deve garantire per il superamento della calamità pandemica, nel rispetto della dignità e della libertà dell’individuo e della collettività, evitando l’antitesi tra emergenza sanitaria e tutela della persona.

È innegabile, come il concetto di “emergenza”, sia posto in termini apodittici ad ogni passo legislativo, alla stregua di un dogma che, del tutto esule rispetto ad un percorso di confronto parlamentare, abbondantemente disatteso nella sua essenzialità, viene protetto dalla martellante comunicazione dell’Esecutivo, con ogni canale a sua disposizione, anche sotto il profilo della “educazione nazionale”, così da attuare al di fuori dei testi legislativi, la buona norma del dovere etico della rispondenza ai parametri aprioristicamente stabiliti: la “vaccinazione” è l’unico strumento per debellare il fenomeno pandemico e chi non vi si adegua è causa del sussistere e del permanere di tale calamità.

In Italia manca qualsiasi confronto democratico, in questo momento storico.

Il giurista che si ponesse di fronte a tale realtà, con l’occhio intriso di connotati ideologici, svierebbe dalla corretta linea esegetica che il perito deve recare in sé, nell’approccio al tema riguardante la sua materia di competenza.

Tale contaminazione ideologica non può, tuttavia, colpire il giurista, non può viziare la percezione e l’agire dell’avvocato; questi ha il dovere di porsi in difesa dei diritti naturali e dei principi consacrati dalla Carta Costituzionale in primis e dall’ordinamento tutto poi, indipendentemente dall’intima convinzione che lo anima rispetto ad un determinato fenomeno politico storico. L’avvocato deve garantire la tutela di un diritto compresso, al di là del fatto che egli condivida una determinata azione del potere legislativo.

Con questo non si intende dire che l’avvocato abbia l’obbligo di perorare un soggetto determinato in un particolare giudizio, sempre e comunque; la libertà della professione garantisce scelte di coscienza, ma la categoria forense non può sottrarsi al dibattito e, pur condividendo l’azione di un governo in un determinato momento storico, deve approfondire il tema normativo e valutare quanto l’incedere del legiferare sia consono al paradigma costituzionale ed ordinamentale.

Nel caso specifico che qui è di interesse, l’avvocatura, attraverso i propri organi rappresentativi, appare consequenziale alle scelte estemporanee dell’Esecutivo, senza porre la benché minima critica socratica agli atti del governo, come viceversa viene, puntualmente, per le più disparate intenzioni espresse dal Parlamento e per le scelte legislative annunciate e sostenute.

Il giurista non può non considerare il dibattito all’interno della scienza, sebbene giunga ai più una sola voce di questo variegato contesto sapienziale; l’avvocatura non può non interrogarsi circa la giustezza di determinate impostazioni e deve garantire, questo il senso di quanto innanzi affermato, l’ascolto di una voce critica al proprio interno e, comunque, l’approfondimento delle questioni giuridiche poste, in tutela di quella minoranza – tale anche in virtù delle ragioni innanzi spiegate – che in una Repubblica democratica dovrebbe trovare piena affermazione.

Avv. Stefano Stochino – ALI

Print Friendly, PDF & Email