La neutralizzazione del principio costituzionale del “ripudio alla guerra” – Una storia già letta e da molti dimenticata – Avv. Denise Serena Albano

 

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

L’articolo 11 della Costituzione, enuncia senza dubbio il principio pacifista per eccellenza ed è l’espressione di una ferma opposizione alla violenza militare come strumento di conquista e di offesa alla libertà dei popoli e alla risoluzione delle controversie internazionali.

Non a caso, la scelta del termine “ripudia” racchiude in sé non solo la ripugnanza morale verso gli orrori che avevano ferito lo spirito democratico durante il secondo conflitto mondiale, ma soprattutto la condanna di ogni propaganda bellicistica, di dottrine che esaltino o giustifichino l’utilizzo della guerra, oltre che la condanna di essa in senso universale.

Eppure all’indomani della fine della guerra fredda, si è assistito al coinvolgimento dell’Italia in una molteplice serie di conflitti armati: in Iraq, in Kosovo, in Afghanistan, tanto che quella clausola di “ripudio alla guerra” è stata neutralizzata, nella sua effettiva rilevanza, sotto l’egida della difesa dei diritti umanitari.

Il coinvolgimento dell’Italia, dunque, in conflitti bellici è una storia già letta e da molti dimenticata.

Al riguardo, significativa fu la modifica dell’art. 165 del Codice Penale Militare di guerra e l’approvazione del decreto legge del 1 dicembre 2001 n. 421 (convertito con la legge 31 gennaio 2002, n. 6 ) con cui il nostro Legislatore aveva  previsto che le disposizioni  della legge penale militare si applicassero in ogni caso di conflitto armato indipendentemente dalla dichiarazione dello stato di guerra.

Questa riforma normativa ha determinato – di fatto-  il superamento degli art. 78 e 87 della Costituzione, non essendo più necessario ottemperare alla esigenza “formale” della dichiarazione di guerra.

E che, in realtà, tali norme costituzionali siano inapplicate da un pezzo, si evince dalla semplice constatazione che  in ogni conflitto armato al quale l’Italia ha partecipato vi è sempre stato un ruolo preminente   del Governo che  sovente ha dato la propria  adesione a scelte di una potenza leader oppure al consenso a livello internazionale, mentre  il parlamento  ha  viste ridotte le proprie prerogative, e ciò in aperto contrasto con il disposto dell’art. 78 Cost. che prevede – in caso di missione militare- la necessaria codecisione di entrambi gli organi costituzionali ossia : parlamento e governo.

L’attuale conflitto Russia – Ucraina, che ha visto l’Italia aderire alle iniziative della Nato (cfr. decreto legge n. 14 del 25 febbraio 2022), ha fatto riemergere – in tutta la sua drammaticità -il tema della effettiva “costituzionalità” della partecipazione a tali interventi militari, ponendosi l’azione dell’attuale Governo  oltre e contro l’articolo 11 della Costituzione.

A ben vedere, la volontà espressa dai nostri Padri Costituenti di impedire che l’Italia si avventurasse  in guerre di aggressione, non pare certo garantita dall’inclusione del  nostro paese nel circuito delle Nazioni Unite e delle organizzazioni internazionali di sicurezza collettiva.

E’ evidente – infatti- che il meccanismo dell’adesione dell’Italia alle Nazioni Unite ha comportato una deresponsabilizzazione sostanziale del paese in quanto la guerra,  anche solo “difensiva”, viene gestita in sedi diverse da quelle naturali e cioè in ambito internazionale.

In altre parole si è manifestato un deprecabile allargamento delle maglie dell’articolo 11 che è stato arbitrariamente usato per l’Unione Europea e per la Comunità Europea.

Anche in caso di trattati che, come questi, si riferiscono in parte anche alla tutela della sicurezza a livello internazionale si è pensato che l’articolo 11 con la sua motivazione di finalizzazione alla partecipazione ad organizzazioni che promuovono la pace la giustizia costituisca la clausola costituzionale che consente un ingresso di norme nel nostro ordinamento a prescindere dal rispetto di altre disposizioni.

Una volta utilizzato l’articolo 11 come base di riferimento e l’articolo 80 della Costituzione che prevede l’intervento parlamentare in sede di autorizzazione a ratifica ed esecuzione di trattati di questo genere, in pratica, si realizza un ingresso nel nostro ordinamento delle procedure che sono previste nei trattati sulla sicurezza collettiva (in particolare nel caso dell’ordinamento italiano l’articolo 5 del Trattato NATO) che comportano qualora maturi a livello internazionale una certa situazione emergenziale la delibera dell’organo direzione dell’Alleanza (al quale l’Italia partecipa tramite il suo Governo) e la conseguente entrata automatica del nostro ordinamento nella situazione di conflitto internazionale.

La precisa scansione procedimentale conseguente alla nuova qualificazione dei conflitti bellici nel nostro ordinamento – dunque-   potrebbe essere così sintetizzata:

– copertura costituzionale da parte dell’articolo 11 e dell’articolo 80 della costituzione;

– recepimento del trattato nel nostro ordinamento con preventivo o successivo ruolo decisionale del parlamento;

– verificarsi della situazione di crisi internazionale e , attivazione degli organi previsti dal trattato per la decisione sulle misure da adottare;

– partecipazione del governo alla decisione nell’ambito degli organi previsti dal trattato;

-emarginazione del Parlamento;

– mancata applicazione della procedura prevista o desumibile dall’articolo 78 e dall’articolo 87 della costituzione;

– invio di uomini e mezzi fuori dei confini nazionali su iniziativa autonoma del Governo, con semplice informativa al Parlamento.

Ma dietro tutto questo c’è l’ipocrisia del non detto.

Dietro i conflitti bellici non c’è l’etica e la morale ma la realpolitik.

Per questo e per altre mille ragioni l’articolo 11 della Carta fondamentale va protetto e salvaguardato con ogni mezzo possibile perché il popolo italiano sovrano (art. 1 Cost.)  è contrario alla guerra.

La soluzione per evitare il conflitto esiste e risiede nella forza del diritto.

Avv. Denise Serena Albano

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