Denuncia per violenza privata art. 610 c.p. (ristoranti, esercenti, gestori)

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO

IL TRIBUNALE DI______

Per tramite della Stazione dei Carabinieri di  _________

Il/la sottoscritto/a ____________________________ – nato a ____ il __/__/____ e residente in ___ alla Via ______________ n. ____in qualità di persona offesa e danneggiato dal reato, espone e denuncia quanto di appresso.

Il/la sottoscritta, in data _________ nella città di _______si recava presso il noto locale ________, (oppure la nota palestra_________, il noto club di tennis__________, ecc.), con dei propri amici al fine di passare una tranquilla serata di svago. Giunti sul luogo mi accingevo ad accedere al locale, quando venivo bloccato dal titolare (o il responsabile alla sicurezza per le misure anti covid, oppure l’addetto al controllo, ecc.), il quale mi richiedeva l’esibizione della Certificazione Verde Covid-19. Al mio rifiuto di mostrare la stessa, (in quanto non se ne è in possesso o semplicemente, oppure trattandosi di dati sensibili si è posto il rifiuto), questi mi impediva l’ingresso (si rifiutava di lasciarmi passare, ecc.) e col suo comportamento mi costringeva ad abbandonare il locale…

(e necessario procedere ad una dettagliata descrizione di tutti i fatti accaduti, indicare con precisione anche date, luoghi, orari, etc. relativi all’accadimento)

In relazione ai suddetti fatti accaduti, si precisa in diritto quanto di seguito.

L’art. 610 C. P. recita testualmente: “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.

La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall’articolo 339.”

Struttura della norma

Il delitto, stando al tenore letterale dell’art. 610 c.p., si configura quando chiunque usando violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa; va da sé che, in prima battuta, nel momento stesso in cui siano poste in essere condotte di violenza o di minaccia, e che siano finalizzate ad imporre alla vittima un facere o un pati (elemento oggettivo del reato), il reato è da considerarsi integrato (consumato, se l’agente raggiunge il suo scopo, altrimenti solo tentato), (Cass. n. 15715/2012; Cass. n. 3609/2011; Cass. n. 7214/2006).

Si tratta, innanzitutto, di una norma avente carattere generale e di chiusura. Vengono infatti inclusi tutti quei fatti o atti od omissioni che non sono ricompresi, o in alcun modo contemplati in altre norme, cosicché l’ordinamento possa apprestare una tutela piena alla libertà di locomozione, alla libertà fisica e alla libertà morale di ciascun soggetto (in tal senso Cass. n. 4996/1998; Cass. n. 2664/1986, secondo cui il reato “…è ravvisabile ogni qualvolta non si configuri, per quel determinato fatto, una diversa qualificazione giuridica”.

Aspetti tecnici della norma.

Il bene giuridico oggetto di tutela è la libertà morale; la norma tutela il generale interesse dello Stato di garantire ad ogni individuo la propria libertà morale, intesa come la sua intangibile facoltà di autodeterminarsi secondo le proprie convinzioni e secondo i propri ed autonomi processi motivazionali.

Vero è che lo Stato, attraverso la sua legislazione ed i suoi organi competenti (dunque in generale l’ordinamento giuridico) impone a tutti gli individui limitazioni e condizionamenti giuridicamente motivati da quelle che sono le esigenze della vita comunitaria, dall’altro deve garantire in positivo a ciascuna persona di essere e di sentirsi libera in virtù dei valori e degli alti principi costituzionali che costituiscono il fondamento delle libertà fondamentali sancite dalla Costituzione della Repubblica.

Il bene giuridico protetto è dunque la libertà della persona da qualsivoglia ingerenza altrui e comportamento che sia violento e intimidatorio – che può pertanto essere definito come antigiuridico – tale da esplicitarsi in una forma di coartazione, sia di tipo diretto che di tipo indiretto, sulla libertà di volere o di agire, sì da costringere quella persona a una ben determinata azione, omissione o tolleranza, contraria al suo libero volere. (in tal senso Cass. pen. n. 4526/2011)

Si tratta di un reato comune che non richiede, ai fini della sua commissione, che l’agente abbia una particolare qualifica, o che rivesta uno specifico status o sia in possesso di uno specifico requisito personale e funzionale.

Per quanto concerne gli elementi costitutivi, la norma prevede due condizioni ai fini della configurazione del reato:

la violenza: questa può essere propria o impropria. Si può parlare di violenza propria per indicare quella violenza, sulle persone o sulle cose, che sia esercitata direttamente sulla persona anche per mezzo di uno strumento; si intende violenza impropria, l’utilizzo di un qualsiasi mezzo idoneo, esclusa la minaccia, a coartare la volontà del soggetto passivo, di talché ne risulti annullata la capacità di azione o determinazione.

Si precisa come la norma, a tutela di una piena libertà degli individui, non configura la violenza nei casi di condotta meramente omissiva tenuta in relazione ad una richiesta altrui, anche nell’ipotesi in cui la stessa si risolva in una forma passiva di mancata cooperazione al risultato voluto dal richiedente.

Per minaccia si intende la prospettazione di un male ingiusto e notevole, anche proveniente dal soggetto minacciante.

In relazione all’elemento soggettivo, il dolo è di tipo generico, infatti già il solo fine di costrizione realizza il momento consumativo, senza che sia necessario il raggiungimento di un fine determinato. La sola coscienza e volontà di costringere, mediante violenza o minaccia, un altro soggetto a fare, tollerare od omettere qualcosa integra l’elemento soggettivo del reato (dolo generico), (Cass. penale, Sez. V, sent. n. 4526 del 8 febbraio 2011).

Dal punto di vista strutturale, l’art. 610 c.p. tratta di un reato a forma vincolata, per cui la condotta tipica deve consistere in atti di violenza o minaccia con cui l’agente costringa un altro soggetto a fare, tollerare od omettere qualcosa. Pertanto l’utilizzo di qualsivoglia altro atto, diverso dalla violenza o dalla minaccia, quale, ad esempio, l’impiego di un mezzo fraudolento, o che ad ogni modo non sia idoneo a realizzare una costrizione, non integra la fattispecie di cui all’art. 610 cod. pen.

Il reato è consumato nel momento in cui il soggetto costretto (con violenza o minaccia) abbia fatto, tollerato od omesso qualcosa che l’agente pretendeva da lui; è ammesso anche nella sua forma tentata sempre che la costrizione non si sia verificata, malgrado i mezzi idonei e non equivoci posti in essere dall’agente.

Normativa in materia di Certificazione Verde Covid-19 sui luoghi di lavoro.

L’attuale normativa in materia di green pass a livello nazionale, è sancita dal D.L. 22.04.2021 n. 52 convertito con modificazioni dalla L. 17 giugno 2021, n. 87, il  D.L. 23.7.2021 n. 105 convertito con modificazioni dalla Legge 16.9.2021,  n. 126,  il D.L. del 6.8.2021 n. 111, e, da ultimo, il D.L. del 21.9.2021 n. 127, questi ultimi hanno apportato integrazioni e modifiche al 52/2021. Il dl. 105/2021 ha ampliato i casi in cui sarebbe necessario l’esibizione della certificazione verde introducendo l’art. 9 bis al dl 52/2021 in relazione ai Pubblici esercizi, alle attività commerciali e culturali, servizi ed eventi (accesso e fruizione):

  • In caso di servizi per la ristorazione svolti da qualsiasi esercizio per consumo al tavolo al chiuso, con esclusione delle consumazioni all’aperto e al bancone e dei servizi di ristorazione all’interno di alberghi e di altre strutture ricettive riservati esclusivamente ai clienti ivi alloggiati;
  • Per gli spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportive, musei e altri istituti e luoghi della cultura e mostre, sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò;
  • Luoghi come piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, centri benessere, anche all’interno di strutture ricettive, limitatamente alle attività al chiuso, centri termali (salvo che per gli accessi necessari all’erogazione delle prestazioni rientranti nei livelli essenziali di assistenza e allo svolgimento di attività riabilitative o terapeutiche), parchi tematici e di divertimento;
  • Per sagre e fiere, convegni e congressi; feste conseguenti alle cerimonie civili o religiose;
  • Nei centri culturali, centri sociali e ricreativi, limitatamente alle attività al chiuso e con esclusione dei centri educativi per l’infanzia, i centri estivi e le relative attività di ristorazione, concorsi pubblici durata: dal 6 agosto al 31 dicembre 2021 controlli: titolari o gestori delle attività.

Il controllore o il datore di lavoro, dunque, non può impedire l’ingresso ad uno dei luoghi previsti dall’art. 9 bis d.l. 52/2021 e successive modifiche. Può, o comunque potrebbe, chiamare le forze dell’odine per verbalizzare l’accaduto, ma non può in alcun caso costringere il soggetto a non entrare in quel luogo o a svolgere l’attività ludica o sportiva che lo stesso si era prefissato di svolgere.

Il decreto dispone che i titolari o i gestori dei servizi e delle suddette attività sono tenuti a verificare che l’accesso ai predetti servizi e avvenga nel rispetto delle prescrizioni, ma giammai la norma da al soggetto addetto al controllo il potere di impedire al soggetto lo svolgimento dell’attività voluta. La norma in questione, non prevede alcuna sanzione, pertanto è un obbligo vuoto. L’agente in caso volesse eccepire l’esimente di aver agito credendo di rispettare una norma sbaglierebbe altresì, considerando che la legge penale non ammette ignoranza.

Se ciò dovesse accadere, si configura violenza privata ex art. 610 c.p., in quanto la volontà del soggetto passivo viene completamente azzerata dal comportamento dell’agente che lo costringe ad un facere diverso da quello voluto. In tal senso, Cass. pen. n. 3562/2015, per cui “ai fini dell’integrazione del delitto di violenza privata (art. 610 cod. pen.) è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo”;  il comportamento del datore di lavoro che impedisce con violenza (anche nella sua formulazione impropria) o minaccia, l’ingresso del lavoratore nel luogo di lavoro contro la sua volontà, pone un atto che comporta la perdita o comunque la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo (Cass. pen. n. 1786/2017). Come facilmente può evincersi dalle massime della giurisprudenza dominante, si consuma il delitto di violenza privata in tutti quei casi in cui la volontà del soggetto viene coartata in modo tale da produrre, nello stesso, una significativa riduzione della capacità di autodeterminazione, di limitazioni nella libertà di movimento, di azione, pscicofisica o di esercizio di facoltà o diritti soggettivi.

Stando le suddette considerazioni normative, si può, pertanto, concludere che nell’ipotesi in cui chiunque impedisca ad un soggetto di partecipare ad una delle attività di cui all’art. 9 bis del d.l. 52/2021 sulla base del rifiuto di mostrare il cd “green pass”, o semplicemente perché non ne sia in possesso, si rendere responsabile del reato di cui all’art. 610 cod. pen., configurando quella condotta una violenza indiretta idonea a limitare la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, che verrà dunque costretto a tollerare la pretesa per esercitare un proprio diritto.

La minaccia per cui se non si adempie alla dimostrazione del possesso del “green pass”, non si potrà partecipare all’evento, configura una condotta idonea a coartare la volontà del soggetto passivo, di talché ne risulterà annullata la sua capacità di azione o determinazione (in questo caso, da parte dell’agente, c’è il raggiungimento del fine se il soggetto coartato sottostà alla sua pretesa “…non partecipi perché non mi hai mostrato il green pass…”, sebbene ai fini dell’elemento soggettivo è un requisito ulteriore non indispensabile). Anche nella semplice ipotesi in cui l’agente, si limiti solo a chiedere la dimostrazione del possesso del “green pass” paventando al soggetto di non farlo partecipare all’evento, ciò integrare il reato di cui all’art 610 cod. pen. nella usa forma tentata.

Sulla normativa, infine, si tiene a fare due precisazioni.

In primis, in relaziona al rapporto con gli art. 51 e 54 cod. pen., sostanzialmente nulla da dire. La prima norma in questione prevede delle scriminanti, applicabili all’art. 610 cod. pen., nell’ipotesi in cui la violenza o la minaccia siano poste in essere da un pubblico ufficiale in adempimento del suo servizio ed in adempimento di un ordine legittimo che gli venga impartito e sul quale non abbia alcuna capacità di sindacato sulla legittimità della norma, (è chiaro che non è il caso di cui ci si occupa). L’art. 54 cod. pen. sullo stato di necessità prevede una generale causa (quindi teoricamente applicabile all’art. 610 cod. pen.) di non punibilità per “chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”, (ma anche questa volta non riguarda il caso di cui ci si occupa).

In secundis, in questa sede, non può sottacersi come lo strumento del “green pass” violi importanti norme relative a libertà fondamentali (quali la libertà di movimento nelle sue moltissime estrinsecazioni) e diritti inviolabili sanciti dalla Costituzione, con probabili ed eventuali pesanti conseguenze sul piano discriminatorio. A tal uopo si riporta il considerando 36 del reg. EU n. 953/2021, secondo il quale “È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il

vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non  essere vaccinate”.  Si specifica che le norme europee prevalgono su quelle nazionali. Infatti, l’art. 9 del decreto-legge 52/2021, che introduce il “green pass” prevede espressamente l’applicabilità delle norme italiane solo se compatibili con il Regolamento CE 953/2021. Pertanto, il “green pass” è facoltativo. Sulla stessa riga, ed anzi giocando d’anticipo, il Consiglio d’Europa con la risoluzione n. 2631 del 27 gennaio 2021 aveva già disposto: “L’assemblea invita gli stati membri e l’Unione Europea ad assicurare: – che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno può essere sottoposto ad una pressione politica, sociale o di altro genere affinché si vaccini se non desidera di farlo; – che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato a causa di possibili pericoli per la salute o perché non vuole farsi vaccinare.”

Stante la normativa europea di rango superiore direttamente applicabile nell’ordinamento italiano, la regolamentazione sul green pass (specialmente quando comprime diritti inviolabili) non può trovare accoglimento.

Alla luce di quanto esposto, il Sig.____________________ (titolare del noto ristorante ________________, oppure del club di tennis___________, oppure della palestra__________ ecc. o l’addetto al controllo) usando violenza (anche nella sua forma impropria) o minaccia ha coartato la mia volontà, di talché ne è risultata annullata la mia capacità di azione o determinazione mi ha impedito di______________________ (esercitare l’attività sportiva, di accedere al ristorante, ecc…).

Per i fatti di cui sopra, io sottoscritto ______________, come sopra meglio individuato, presento formale

denuncia – querela

e chiedo che si proceda nei confronti di ________________ (o nei confronti di ignoti) per il reato di cui all’art. 610 c.p., perché, con violenza e minaccia mi costringeva a __________________ (descrivere dettagliatamente la conseguenza della comportamento dell’agente), sì facendo impedendomi di ___________________ e costringendomi a fare diversamente da come avrei voluto, e per tutte le eventuali altre fattispecie di reato ravvisabili nei fatti rappresentati.

Chiedo altresì ai sensi dell’art. 408, co. II, c.p.p., di essere informato circa l’eventuale archiviazione del procedimento, alla quale sin da ora ci si oppone, nonché, ai sensi dell’art. 406, co. III, c.p.p., di essere informato circa l’eventuale richiesta di proroga dei termini per le indagini preliminari.

Con riserva di costituirmi parte civile onde ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi in conseguenza delle predette condotte.

Con riserva, altresì, di indicare ulteriori documenti e mezzi istruttori che si rendessero necessari ai fini dell’accertamento dei fatti denunciati.

Si indicano quali persone informate dei fatti: ___________ .

Si producono i seguenti documenti:

1) ….

2) ….

3) ….

Luogo, data.

Firma______

 

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