UN GIUDICE LIBERO – commento alla sentenza 10.3.2023 del Tribunale Militare di Napoli

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a cura di Giovanni Calapaj, Avvocato Libero – Con sentenza del 10 marzo 2023, depositata il successivo giorno 13, il GUP presso il Tribunale Militare di Napoli ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di un militare che si era introdotto nella struttura presso cui era stanziato senza esibire il “green pass” ai commilitoni comandati al servizio di vigilanza all’ingresso.
Il P.M. aveva presentato richiesta di rinvio a giudizio per il reato di cui agli artt. 140, 47 n.2 c.p.m.p. (forzata consegna), ma il GUP ha ritenuto non doversi procedere alla successiva fase dibattimentale prosciogliendo l’imputato ai sensi dell’art.425, comma 1 c.p.p. “perché il fatto non sussiste per difetto del requisito della necessaria offensività della condotta”.
In altre parole, secondo il GUP, l’accedere alla caserma senza essere in possesso della certificazione verde covid 19 (il c.d. “green pass”), non integra una condotta offensiva passibile di mettere a rischio la salute pubblica in misura maggiore di quella posta in essere da chi, a seguito di vaccinazione, accedesse col lasciapassare verde.
Vero è che l’ampio margine di dubbio, emerso dal processo, sulla circostanza che l’imputato fosse stato o meno autorizzato all’accesso da altro militare avrebbe portato comunque al non luogo a procedere ai sensi del terzo comma dell’art.425 c.p.p., ossia “quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”, e tuttavia il giudicante ha ritenuto di spingersi oltre e dichiarare l’inoffensività della condotta prosciogliendo l’imputato con formula piena.
La pronuncia in questione si caratterizza pertanto per alcuni passaggi degni di nota, e costituisce uno dei pochissimi provvedimenti di “rottura” successivi alle controverse sentenze nn. 14, 15 e 16 del 9 febbraio 2023 Corte Cost. alle cui risultanze e motivazioni diversi giudici di merito si sono invece acriticamente conformati.
Correttamente, infatti, il GUP partenopeo ha premesso che “le sentenze di inammissibilità e infondatezza della Corte Costituzionale, quali sono le mentovate pronunce, non hanno alcun effetto vincolante, a livello interpretativo, per i giudici di merito” e che “la funzione nomofilattica – tesa ad assicurare “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale” – spetta solo ed esclusivamente alla Corte di Cassazione, quale “organo supremo della giustizia”, e non già anche alla Corte Costituzionale”. In tal modo, il GUP di Napoli ha quindi rimarcato la propria autonomia di giudizio e l’assenza di qualsivoglia soggezione alle sentenze di rigetto/inammissibilità costituzionali che, ricordiamo, sono vincolanti, nei limiti delle questioni sollevate, soltanto per i giudici rimettenti e non hanno efficacia erga omnes come quelle di accoglimento.
Il Giudice, riconoscendo la propria funzione di dominus del processo e di peritus peritorum ha ritenuto di leggere in maniera diversa il quadro normativo sugli obblighi vaccinali rispetto alla Consulta ed ha affermato apertis verbis che “i vaccini per SARS-Cov-2 in commercio non sono strumenti atti in alcun modo a prevenire il contagio dal virus. Qui non si discute, peraltro, come è evidente, della idoneità o meno dei vaccini in commercio a prevenire le forme acute della malattia, che è tutt’altra questione, non di interesse per il presente giudizio, bensì della capacità, o meglio della incapacità, di tali vaccini quale strumento di prevenzione del contagio”.
E gli stessi dati non definitivi sull’efficacia dei vaccini a fermare infezioni e contagi, forniti da ISS ed AIFA e acriticamente e contra facta fatti propri dalla Corte Costituzionale sono stati smentiti sin dall’inizio dall’esperienza comune secondo la quale i soggetti vaccinati possono contrarre l’infezione e ritrasmetterla a loro volta. Si legge in sentenza che il Giudice “non può limitarsi a recepire passivamente e supinamente dei dati scientifici ancora non definitivi e provvisori, sia pure se provenienti dalle autorità nazionali ed internazionali preposte alla ricerca scientifica, con apodittici richiami a tali dati. Al contrario, il Giudice è tenuto ad operare un vaglio critico su tali dati, debitamente illustrando quale ipotesi scientifica ritenga applicabile al caso concreto e per quali motivi”.
Il fatto notorio della inefficacia vaccinale riconosciuto dalla giurisprudenza di merito richiamata dal GUP napoletano nella propria sentenza (Trib. L’Aquila, sent. del 23.11.2022; Trib Firenze, sent. del 31.10.2022; Trib. Padova, ord. del 28.04.2022) essendo un dato incontrovertibile secondo l’id quod plerumque accidit, smentisce pertanto i “dati ufficiali” e appartiene al normale patrimonio di conoscenze della comunità sociale in un dato tempo e in un dato luogo e, come tale, può essere conosciuto dal Giudice senza la necessità di ulteriori verifiche probatorie. Di conseguenza, se “dal punto di vista epidemiologico, vaccinati e non vaccinati, vanno necessariamente trattati come soggetti tra loro sostanzialmente equivalenti”, viene meno il presupposto normativo dell’obbligo vaccinale e dell’esibizione del “green pass” e, con esso, l’offensività della condotta contraria a tale disposto normativo.
Sostanzialmente, afferma il GUP, il principio di necessaria offensività della condotta incriminata impone che la lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale debba essere concreta ed effettiva, non essendo sufficiente la conformità del fatto al modello legale tipizzato dalla fattispecie. E poiché tale lesione non è ravvisabile nel caso in questione, spetta all’autorità giudiziaria impedire “una arbitraria ed illegittima dilatazione della sfera dei fatti da ricondurre al modello legale”.
Teoricamente sarebbero bastate le superiori, assorbenti considerazioni a motivare la decisione, ma il GUP partenopeo si è spinto oltre, e ad abundantiam ha sconfessato, ricorrendo alla scriminante dello stato di necessità, le recenti pronunce della Consulta. Anzi, proprio appigliandosi alla consolidata giurisprudenza costituzionale a far data dalle storiche sentenze nn.307/1990 e 258/1994 ha richiamato, tra gli altri, il principio (immotivatamente del tutto disatteso nelle sentenze nn. 14, 15 e 16 del 2023) secondo il quale “nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri” (Corte Cost., sentenza n. 118/1996). Sulla scorta di tale principio e dell’ulteriore dato esperienziale di effetti avversi invalidanti e letali “in numero non del tutto marginale e indifferente di casi” conseguenti alla vaccinazione anti Covid-19, il GUP ha rilevato, discostandosi ancora una volta dall’orientamento della Consulta e anzi auspicandone un revirement, che la condotta dell’imputato di non sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria è scriminata dalla “necessità di salvare sé dal pericolo attuale di un danno grave alla propria persona, nel quale l’imputato sarebbe incorso proprio sottoponendosi alla vaccinazione obbligatoria”.
Infine, il Giudice rimette al suo posto, tramite una lettura costituzionalmente orientata, il diritto al lavoro e stigmatizza la sua lesione scaturente dall’inosservanza dell’obbligo di vaccinazione così come prevista dai vari decreti del governo Draghi, e avallata dalla Consulta: “sul lavoro, infatti, si fonda non solo la dignità professionale ma anche la dignità personale dell’essere umano che vuole mantenersi con le proprie forze, costituendo il reddito da lavoro per lo più li reddito di sussistenza, senza li quale si scivola nel degrado e nella dipendenza”.
La libertà di scelta, incompatibile ontologicamente sul piano giuridico con la categoria dell’obbligo e apoditticamente sostenuta dalla Consulta viene quindi sconfessata, in quanto il lavoro “per una persona che intende vivere una vita libera e dignitosa, non è una scelta, bensì una necessità. Non vi è quindi margine di scelta alcuno per il lavoratore, il quale se vuole continuare a sopravvivere dignitosamente, si vede costretto a sottoporsi al trattamento sanitario obbligatorio, essendo previsto, per il caso di non adempimento, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione”.

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