Il Tribunale di Roma, nel rigettare un reclamo ex art 669-terdecies c.p.c. avverso ordinanza che ha respinto un ricorso d’urgenza sull’illegittimità della normativa emergenziale, si è spinto oltre ed ha espresso, con una excusatio non petita, considerazioni critiche sull’ordinanza di remissione alla Corte Costituzionale da parte del Consiglio di Giustizia Amministrativa Regione Siciliana, addirittura prevedendo un esito negativo del giudizio.
Il Collegio capitolino ritiene infatti che si possa ragionevolmente prevedere un rigetto della questione di costituzionalità sollevata dal CGA perché gli approdi giurisprudenziali della Consulta sarebbero in gran parte obsoleti e solo apparentemente analoghi alla drammaticità ed alla specificità del contesto che stiamo vivendo.
In altre parole, i precedenti non sarebbero applicabili alla condizione pandemica in quanto riferibili a situazioni “ordinarie”, mentre noi siamo in una condizione “straordinaria”.
Il collegio continua poi ritenendo che “i canoni della normale tollerabilità possano essere ampliati in relazione alla portata eccezionale del fenomeno pandemico, in un’ottica che miri alla proporzionalità della misura rispetto all’obiettivo da raggiungere, in uno con la cura della popolazione in un contesto di emergenza sanitaria”.
Quindi, il punto saliente di questa opinione sarebbe lo stato di emergenza pandemica in cui tutto sarebbe concesso, anche imporre misure illogiche, irrazionali, sproporzionate e, diciamola tutta, il sacrificio umano.
Sì perché secondo il diritto medioevale espresso dal Tribunale di Roma, la Corte costituzionale dovrebbe mutare indirizzo e ammettere il sacrificio del singolo individuo a beneficio della collettività.
In tal senso si osserva che l’unica “concessione” fatta dalla nostra Costituzione è lo stato di guerra e non di emergenza sanitaria, per cui i canoni della normale tollerabilità degli effetti avversi di un trattamento sanitario imposto per legge, costituiscono un limite invalicabile, posto a tutela della salute dell’individuo che, in una vaccinazione di massa, presidia la tutela dell’intera collettività.
Tale limite fa riferimento ad un principio cardine del nostro ordinamento, che non è frutto della giurisprudenza ma è figlio della Costituzione, ossia il rispetto della persona umana, della sua Dignità, perché “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (art. 32 Cost.).
La differenza con lo stato di guerra, poi, non è di poco conto: dinanzi allo sgancio di una bomba le probabilità di morire sono molto elevate e non sarebbe nemmeno necessario un obbligo di legge per costringere la popolazione al coprifuoco, mentre per il COVID-19 siamo di fronte a un fenomeno a discreta letalità e, attualmente, a bassissima mortalità (https://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=5372&area=nuovoCoronavirus&menu=vuoto) quindi, dinanzi ad un prodotto farmaceutico nuovo i cui effetti a medio e lungo termine non sono conosciuti (e non solo,) non sarebbe possibile obbligare le persone all’assunzione di un farmaco senza una valutazione che tenga conto del rapporto rischio-benficio.
Solo pensare all’obbligo vaccinale basato sulla componente anagrafica sarebbe irragionevole, in quanto eccentrico nel prevederlo indistintamente per tutte le persone nate fino al 1972 ❗️
In realtà, ad essere obsolete non sono le considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale nelle pronunce richiamate dal C.G.A Sicilia, ma le opinioni espresse in questo provvedimento che, al contrario, sembra essere giunto da un’altra era, un epoca buia, da un tempo dove l’uomo era una res priva di diritti.
Il provvedimento in commento non tiene assolutamente conto degli sviluppi della pandemia e del fatto che oramai non trova più alcuna giustificazione l’imposizione dell’obbligo, per nessuno ❗️