ART. 32 COSTITUZIONE ITALIANA
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
L’obbligo per il vaccino anti Covid 19 è legittimo?
Con la sentenza n. 130/1990 la Corte Costituzionale ha espresso con chiarezza alcuni principi fondamentali che riguardano il bilanciamento tra il diritto alla salute del singolo e quello della collettività:
la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale.
Ma si desume soprattutto che un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili.
Quindi, il trattamento sanitario obbligatorio è legittimo quando apporta beneficio alla persona che vi è sottoposta (nel senso che deve evitare che si ammali o che gli effetti della malattia incidano pesantemente sul suo stato di salute) e, di conseguenza, impedisce al soggetto di arrecare danno agli altri soggetti. Il vaccino impedisce la malattia o ne limita gli effetti sul soggetto e, allo stesso tempo, comporta un limitato rischio che la malattia possa essere trasmessa ad altri. Su tale assunto si basa anche la cd. immunità di gregge. Una volta raggiunto un livello di copertura vaccinale (per una determinata infezione) considerato sufficiente all’interno della popolazione, si possono considerare al sicuro anche le persone non vaccinate. Il motivo è chiaro. Essere circondati da individui vaccinati e dunque non in grado di trasmettere la malattia è determinante per arrestare la diffusione di una malattia infettiva.
La Corte però continua sottolineando che non essendo possibile sacrificare la salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri, il sacrificio che si chiede e il rischio cui si espone la persona sottoposta (perché qualunque trattamento espone a rischi) debba trovare un equo ristoro.
“Con riferimento, invece, all’ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri. Un corretto bilanciamento fra le due suindicate dimensioni del valore della salute – e lo stesso spirito di solidarietà (da ritenere ovviamente reciproca) fra individuo e collettività che sta a base dell’imposizione del trattamento sanitario – implica il riconoscimento, per il caso che il rischio si avveri, di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del trattamento. In particolare finirebbe con l’essere sacrificato il contenuto minimale proprio del diritto alla salute a lui garantito, se non gli fosse comunque assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito”.
Fermo restando che non si può imporre un obbligo che sacrifichi completamente la salute del soggetto sottoposto per la tutela della salute degli altri, sono tollerati effetti di scarso rilievo e temporanei e ciò per il dovere di solidarietà imposto dalla nostra stessa Costituzione. Qualora dovessero verificarsi effetti ulteriori è evidente che l’equo ristoro non può che essere legittimamente previsto, dato il sacrificio che un soggetto è chiamato a compiere in nome anche del benessere della collettività.
Una considerazione importante deve farsi su quanto stabilito al II comma dell’art. 32 Cost. ovvero “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. La riserva di legge prevista impedisce che sia imposto un trattamento sanitario illegittimo. Ma la norma continua: La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Che senso avrebbe la precisazione se non rinforzare la garanzia prevista con la riserva di legge? Non tenterò una risposta, mi limiterò a citare le parole di dell’onorevole Martino Gaetano nei lavori preparatori alla Costituzione proprio in relazione all’art. 32: “niente di quello che noi ora facciamo, nessuna nostra norma costituzionale avrebbe valore qualora un pazzo criminale diventasse il dittatore della Repubblica italiana”. In altre parole si può mettere su carta qualunque norma, ma non avremo mai la certezza che essa sia cristallizzata in maniera definitiva. Sono gli uomini ad attribuire valore alle leggi e non viceversa, sono gli uomini che devono applicare la legge affinché i valori in essa trasposti non vengano traditi. La Costituzione è la Legge, è sovraordinata ed allo stesso tempo è il fondamento normativo di tutto l’ordinamento, perché i principi in essa contenuti rappresentano valori imprescindibili per l’essere umano che vive in una società civile e democratica. Il rispetto della persona umana è un concetto che si può certamente ricavare dai principi dell’ordinamento, ma appartiene anche alla cultura di un popolo, alla sua storia e alla sua morale. Se una legge superasse i limiti imposti dal rispetto della persona umana sarebbe per evidenza illegittima.
Ritornando all’interrogativo iniziale, perché lo Stato possa imporre legittimamente l’obbligo è necessario che il trattamento rispetti tali presupposti individuati dalla Corte Costituzionale:
1. Che vi sia il miglioramento della condizione personale e/o che si preservi lo stato di salute di chi è sottoposto all’obbligo;
2.che si preservi lo stato di salute degli altri;
3. che nell’ipotesi di un danno ulteriore vi sia la previsione di un equo ristoro in caso di danni alla salute a prescindere dalla tutela risarcitoria (Cfr. Corte Costituzionale sent. n.258/1994).
Le pronunce richiamate riguardano vaccini ampiamente utilizzati da anni e certamente accompagnati da una copiosa documentazione scientifica a supporto della loro efficacia, soprattutto relativamente ai benefici che una vaccinazione di massa comporta (ovvero la cd. immunità di gregge) e dei dati sugli effetti avversi. Mentre, con i vaccini covid 19 ci troviamo dinanzi ad uno scenario completamente nuovo.
Sul primo dei presupposti, dai dati ufficiali, sembrerebbe che il vaccino comporti minor rischio di ospedalizzazione, ma essendo sconosciuti gli effetti a lungo termine, come affermato dalle stesse case produttrici, come si potrebbe affermare che esso migliori la condizione personale? È sempre necessario effettuare una valutazione dei costi/benefici e considerare le condizioni di salute di ciascun soggetto che sceglie liberamente o sotto consiglio medico. Inoltre, la vaccinazione non si risolve nella prima somministrazione e nell’eventuale richiamo, ma è un vero e proprio trattamento composto di un numero di dosi in crescita. Imporre un obbligo generalizzato significherebbe disattendere il principio di precauzione. Si deve inoltre evidenziare che, il “consenso informato” firmato all’atto della somministrazione non corrisponde alla reale ed attuale conoscenza scientifica, né risulta esaustivo circa gli effetti avversi del vaccino. Il discorso trova soluzione se si tiene in considerazione la natura sperimentale del farmaco e l’impossibilità materiale di essere realmente informati dal momento in cui persino la comunità scientifica non ha certezze. Infatti, perché il consenso sia “informato”, l’informazione deve essere veritiera, obiettiva, esaustiva, aggiornata e fondata sulle evidenze scientifiche. Ma soprattutto, il consenso deve essere libero, cioè non devono sussistere pressioni psicologiche che possano condizionare la volontà della persona. La minaccia della sospensione dal lavoro e della conseguente perdita della retribuzione certamente influiscono sulla autodeterminazione dell’individuo e privano il consenso del requisito della libertà.
Sul secondo dei presupposti, l’immunità di gregge con questo vaccino si è dimostrata essere una chimera. Si deve solo constatare che non vi è alcuna protezione nei riguardi dei terzi, perché il vaccino protegge (limitatamente nel tempo) dall’infezione ma non dal contagio, chi è vaccinato contagia come chi non lo è. A dimostrazione valgano gli aggiornamenti dei dati forniti dall’ISS a questo link https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/aggiornamenti
Sul terzo presupposto, come già evidenziato, sono tollerati solo effetti di scarso rilievo e temporanei, mentre nell’ipotesi di danno ulteriore deve essere previsto un equo ristoro. Nessun trattamento è esente da rischi ma, imporre un farmaco per il quale non sono conosciuti gli effetti a lungo termine e, comunque, ancora in corso di sperimentazione, i cui risultati nel breve periodo sono frutto di farmacovigilanza passiva, è assolutamente una scelta priva di qualunque logica giuridica. Non è un caso che, fino ad ora, l’obbligo per la generalità sia stato evitato introducendo il green pass e, quindi, con la minaccia di non poter esercitare alcun diritto senza esserne in possesso, e ciò è ancora più evidente con l’introduzione del super green pass. Relativamente all’indennizzo, una vicenda è indicativa di quanto per i cittadini sia complicato ottenerlo. Di recente, il Ministero della Salute, infatti, ha respinto il ricorso ex art. 5 comma 1 L. 210/1992 proposto dagli eredi di un’insegnante deceduta in seguito alla somministrazione del vaccino in quanto la Commissione Medico Ospedaliera competente ha ritenuto la vaccinazione non obbligatoria (il caso è precedente il D.L. 172/2021 che ha esteso l’obbligo alla categoria). La L.210/1992 disciplina l’indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati. Il diniego è palesemente in contrasto con quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella sent. 268/2017 nella quale si specifica che: “la ragione che fonda il diritto all’indennizzo del singolo non risiede allora nel fatto che questi si sia sottoposto a un trattamento obbligatorio: riposa, piuttosto, sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l’integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale”. Come si può negare la massiccia campagna vaccinale, i messaggi pubblicitari e “canori” o gli slogan del tipo “proteggi te stesso e gli altri”, “proteggiamo i nostri nonni”, “proteggiamo le persone fragili”, “fare il vaccino è un dovere civico” e così via…?
Alla luce di queste considerazioni, per dirimere ogni dubbio circa la possibilità di un obbligo vaccinale generalizzato sarebbe auspicabile l’intervento della Consulta. Purtroppo, ciò che si sta riscontrando, oltre a provvedimenti quali la sentenza del Consiglio di Stato del 20 ottobre 2021 n.7045 – che, quale precedente, dà seguito alle prime sentenze avulse dalla realtà -, è la mancanza di apertura della magistratura, la quale non permette il rinvio alla Corte Costituzionale ritenendo le questioni formulate nei ricorsi non fondate. Tra le motivazioni, oltre quelle (anti) scientifiche, vi è lo “stato di emergenza” (ad oggi illegittimamente prorogato sino al 31/03/2022) che giustificherebbe la temporanea compressione dei diritti costituzionalmente garantiti. Ma tale giustificazione è priva di fondamento giuridico oltre ad essere estremamente pericolosa: eventuali effetti avversi gravi o gravissimi sulla salute non sono reversibili e non esiste ristoro economico che possa azzerare le conseguenze di scelte legislative dissennate.