La Consulta non perde occasione per mostrare la propria egemonia sulla vita altrui e ora, grazie alla recente sentenza del 23 luglio 2024 n. 143, anche sulla biologia e sui fenomeni naturali.
I giudici costituzionali (che ricordiamo sono per 2/3 di nomina politica), dall’emergenza sanitaria in poi, hanno sottomesso l’altissima funzione che ricoprono alle ideologie politiche di cui sono espressione, arrivando ad affermare che la Costituzione va “interpretata” invece di essere “applicata” in maniera rigida.
Una Consulta che proditoriamente curva la realtà fenomenologica, manipola categorie generali e arzigogola in maniera sempre meno fine per giustificare la propria onnipotenza: recente è l’esperienza della legittimazione del “sacrificio umano” in nome di una solidarietà collettiva obbligatoria (sent. 14 e 15 del 2023) e ora, con la decisione in commento, dà vita ad un “terzo” genere di sesso, distinto da quelli “maschile” e “femminile”.
La Corte però in questo caso (e diversamente dal solito) non ha forzato il manifesto transgender con sentenze additive o manipolative o interpretative o sostitutive di norme inesistenti, ma ha istruito il Legislatore su come adottare la nuova Legge puntando sulla ratio che renda la disciplina costituzionalmente legittima in via preventiva: «la percezione dell’individuo di non appartenere né al sesso femminile, né a quello maschile – da cui nasce l’esigenza di essere riconosciuto in una identità “altra” – genera una situazione di disagio significativa rispetto al principio personalistico cui l’ordinamento costituzionale riconosce centralità (art. 2 Cost.)….nella misura in cui può indurre disparità di trattamento o compromettere il benessere psicofisico della persona, questa condizione può del pari sollevare un tema di rispetto della dignità sociale e di tutela della salute, alla luce degli artt. 3 e 32 Cost.».
La Corte perciò -scimmiottando le culture tedesca e belga a noi poco affini- ha stigmatizzando l’ingiustificata disparità di trattamento fra chi sente di appartenere al sesso maschile o femminile e chi, invece, non si identifica in alcuno dei predetti generi; questi ultimi avrebbero diritto di essere trattati come gli altri e, per farlo, non basta la disciplina in materia di rettificazione di attribuzione di sesso di cui alla legge 14 aprile 1982, n. 164, ma il Parlamento dovrebbe prestarsi alla fucina di un intervento sovversivo dell’ordine pubblico, cioè in grado di stravolgere il «sistema nei vari settori dell’ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria» (diritto di famiglia; lavoro; sport; stato civile; “luoghi di contatto” quali carceri, ospedali, scuole etc.).
Tutto ruota quindi intorno alla strumentalizzazione dei concetti assoluti della dignità sociale e della tutela della salute quali valori ricorrenti su cui la Corte costituzionale ha ammesso ogni genere di nefandezza: dalla privazione a milioni di famiglie del lavoro e dei mezzi di sostentamento per non aver adempiuto ad ordini politici (ecco rispettata la dignità sociale per la Consulta), alla pretesa di togliere la vita a milioni di persone pur di far rispettare imposizioni sanitarie inutili e pericolose (ecco rispettata la tutela della salute per la Consulta); ed ora tali valori giustificherebbero -secondo la Consulta- una nuova legge in grado di stravolgere totalmente il diritto e le scienze naturali nel riconoscere una “identità non binaria”, ossia un genere non riconducibile in quelli biologici di maschile o femminile, ma sussumibile in una diversa categoria, ossia in altro.
La tendenza è chiara: i costumi e gli orientamenti sessuali non costituiscono più pratiche intime nelle camere da letto, ma assurgono a demolitori di un ordinamento naturale e costituzionale ben definito poichè incompatibile con l’idea che i giudici costituzionali hanno di una società degradata, una babilonia i cui valori sono presidiati da una Corte suprema non all’altezza e per la quale proviamo grande imbarazzo.