scarica la sentenza portoghese

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Il Tribunale penale delle Azzorre, con decisione del 26 agosto 2020 (sotto allegata in portoghese e in italiano), accoglieva la domanda di quattro turisti tedeschi che chiedevano di essere rimessi in libertà dal “confinamento” ordinato dall’autorità sanitaria – direzione dell’ufficio regionale sanitario della regione autonoma delle Azzorre – avverso il quale l’autorità summenzionata interponeva appello presso l’autorità giurisdizionale di secondo grado di Lisbona.

Era accaduto che il primo agosto 2020 (primo anno della cosiddetta era pandemica) quattro cittadini tedeschi atterravano sull’isola di San Miguel, passando attraverso i controlli delle autorità aereoportuali di Punta Delgata mostrando dei tamponi diagnostici del Covid 19 con esito negativo effettuati nei tre giorni precedenti.

Il giorno 8 agosto solamente uno dei cittadini tedeschi veniva informato del risultato positivo del tampone allo stesso effettuato e pertanto decideva di interrompere la convivenza e adottare le misure precauzionali della distanza e della mascherina.

Il giorno 10 agosto tutti i cittadini teutonici venivano avvisati (con comunicazione in lingua inglese e portoghese) di essere sottoposti all’isolamento profilattico, e perciò venivano tradotti presso altro hotel e disposti in tre stanze separate.

Nessuna assistenza sanitaria veniva prestata ai quattro turisti, i quali dovevano risolvere da soli una infezione di cui soffriva solo uno di loro.

 

Iniziava la trafila delle regole di quarantena nella totale incertezza sul termine di dette misure di confinamento mentre, contestualmente, i quattro malcapitati turisti presentavano ricorso all’autorità giudiziaria locale invocando il principio dell’Habeas Corpus che, come noto, è un latinismo utilizzato nei sistemi giuridici di common law del diritto anglosassone che può tradursi letteralmente nella locuzione “che tu abbia il corpo” e che si risolve nel principio dell‘inviolabilità personale, con il conseguente diritto di chi viene privato di tale libertà di conoscere le ragioni della privazione, e di vederla convalidata da una decisione del magistrato (art. 13 Cost.).

E’, quindi, il diritto di richiedere a un giudice l’emissione di una convalida o di un ordine (writ), diretto a un’autorità pubblica che ha eseguito un arresto, a costituire il più efficiente sistema di salvaguardia della libertà individuale contro detenzioni arbitrarie extragiudiziali.

E proprio così facevano i quattro malcapitati ricorrendo al Tribunale delle Azzorre che, all’esito del primo grado di giudizio, accoglieva l’istanza di liberazione per le seguenti ragioni:

  • Contrasto della normativa applicata di rango inferiore rispetto alle norme gerarchicamente sovraordinate dettate in materia di dignità della persona umana e al diritto alla libertà personale e alla sicurezza.
  • La privazione della libertà dei turisti era stata disposta con atto amministrativo fondato sull’emanazione delle circolari, emesse e revocate di continuo, non aventi alcuna forza vincolante al di fuori del contesto dei soggetti appartenenti ai vari organi amministrativi destinatarie degli stessi.
  • La privazione della libertà dei ricorrenti non è stata soggetta ad alcun controllo giurisdizionale.
  • Mancanza di normazione specifica in materia di contagio pandemico e applicazione contestuale della normativa stabilita per malattie mentali (analogo all’istituto nostrano del T.S.O., Trattamento Sanitario Obbligatorio).

 

Riportava il Tribunale il ragionamento di un Giurista Milanese, professor Gian Luigi Gatta, professore ordinario di Diritto penale presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria” che in un suo scritto, liberamente tradotto dal Magistrato portoghese, così concludeva: “In questo momento le energie del Paese sono concentrate sull’emergenza. Ma la necessità di proteggere diritti fondamentali, anche e soprattutto in caso di emergenza, richiedendo l’intervento dei Tribunali nel fare la loro parte. Perché, oltre alla medicina e alla scienza, anche il diritto – e il diritto i diritti umani prima di tutto – devono essere in prima linea: non vietare e sanzionare – come viene sottolineato troppo in questi giorni – ma per garantire e proteggere tutti noi. Oggi l’emergenza si chiama coronavirus. Non sappiamo domani. E cosa facciamo o non facciamo oggi, per mantenere il rispetto dei principi fondamentali del sistema, può condizionare il nostro futuro.” (in “Ho affrontato il test del coronavirus. Perché è necessaria una legge sulla quarantena“)”.

Avverso tale sentenza, l’autorità sanitaria delle Azzorre presentava ricorso in appello citando una lunga serie di normative dettate in ambito emergenziale-sanitario, ma la Corte di Lisbona rigettava l’impugnazione per le seguenti ragioni processuali e di merito:

– carenza di legittimazione dell’autorità ricorrente in appello a contestare una decisione giudiziaria non vertente in ordine alla commissione di reati, posto che la questione delle possibili conseguenze penali del riconoscimento dell’esistenza di una detenzione illegale era questione da discutersi in altra penale, diversa da quella oggetto di discussione.

– Le autorità sanitarie non hanno potere di privare una persona della propria libertà, anche al di fuori della mera etichetta di “reclusione”, senza che tale decisione sia presa o convalidata da un’autorità giudiziaria.

– È illegale l’ordine emesso da qualsiasi persona o ente – il cui contenuto porta alla privazione delle capacità fisiche, ambulatoriali, di qualcun altro (qualunque sia la nomenclatura assunta da questo ordine: confinamento, isolamento, quarantena, protezione profilattica, ecc.)-, che priva dell’espresso potere conferito dalla Legge, anche nell’ambito di una dichiarazione di stato di emergenza o di assedio, nel rispetto del principio di legalità e proporzionalità.

– In assenza di tali doppie riserve (di legge e di giurisdizione) la detenzione, comunque denominata, si trasforma in una detenzione illegale (in realtà la questione è già stata dibattuta, nel tempo, riguardo ad altri fenomeni restrittivi di sanità pubblica, vale a dire per quanto riguarda, ad esempio, l’HIV e l’infezione da tubercolosi; in quei casi non si arrivò mai alla privazione della libertà personale per il solo sospetto o anche in presenza di certezza della malattia, proprio perché la Legge non lo consente).

– Inammissibilità dell’appello per difetto di giurisdizione, non spettando al Tribunale fare diagnosi cliniche, di propria iniziativa o in base ai possibili risultati dei test, come invece veniva richiesto dall’autorità sanitaria appellante, la quale chiedeva al giudice di validare “l’isolamento obbligatorio dei richiedenti, in quanto portatori del virus SARS-CoV-2 (C…) e perché presenti sorveglianza attiva, per esposizione ad alto rischio, decretata dalle autorità sanitarie”.

Nel caso di specie, non vi era stata alcuna indicazione o prova che una diagnosi fosse stata effettivamente effettuata da un professionista qualificato in conformità alla Legge, e nemmeno di aver agito secondo la buona pratica medica, almeno per tre dei turisti “imprigionati”: il che era francamente inspiegabile, vista la presunta gravità del contagio e l’omissione di fornire all’interessato quel minimo elemento informativo valido al rilascio del consenso informato.

Si è trattato di una pratica planetaria invero, cui l’Italia non è stata esente, pur se già dal 2021 detto metodo di ricerca dell’infezione è stato fortemente ridimensionato anche dalla letteratura medica: il 25 luglio 2021, nella rivista Medicina Integrata, veniva pubblicato un articolo sulla materia dei test PCR a cura del giornalista Daniele Colombo: “L’efficacia dei test PCR (Polymerase Chain Reaction) è sotto la lente d’ingrandimento degli esperti del settore a livello nazionale e internazionale. Questa tecnica di biologia molecolare, che consente la moltiplicazione (amplificazione) di frammenti di acidi nucleici con un andamento esponenziale (a 30 cicli il materiale genetico è amplificato un miliardo di volte) ed è valsa il Nobel per la Chimica a Kary Mullis nel 1993 (deceduto improvvisamente il 7 agosto 2019 dopo che aveva espresso in un convegno che la metodica non andava utilizzata come strumento diagnostico), potrebbe aver fornito numeri dei contagi da SARS-CoV-2 molto più alti rispetto a quelli reali”.

Un concetto espresso anche dal Presidente di AIFA Giorgio Palù, il quale ha affermato che trovare un soggetto positivo alla PCR non vuol dire malato, ma nemmeno contagioso. «Si è detto che non erano affidabili i test, ma neanche la PCR era affidabile, nessuno l’ha mai validata, è nato un test senza un gold standard, è stato fatto ex post».

L’ECDC, a specifica domanda su quale fosse il protocollo idoneo, rispondeva rimandando ad uno studio (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7543373/pdf/ciaa1491.pdf) che indicava un massimo di 24 cicli; ogni ciclo in più -affermava lo studio – determina un errore di circa il 30%.

Alcuni laboratori regionali italiani, autorizzati dall’ISS, hanno scritto che amplificavano a oltre 40 cicli (addirittura l’Asl Regione Emilia-Romagna dichiarava di utilizzare test con 41 cicli).

Il Ministero della Salute non ha mai contestato queste modalità od i risultati dei test PCR effettuati con oltre 24 cicli, limitandosi a fondare la legittimità di tali condotte sul principio di precauzione, pur se, in effetti, veniva avallata un’alterazione totale della verità scientifica.

A differenza di quelli italiani (il riferimento è alla sentenza della Corte costituzionale 26.5.2022 n. 127 che ha definito la quarantena una misura sanitaria che limita la libertà di circolazione di cui all’art. 16 Cost., e non quella personale di cui all’art. 13 Cost.), i giudici portoghesi hanno dimostrato una capacità di giudizio superiore, una forte sensibilità alle prerogative fisiche o morali della persona umana, ed una maggiore autonomia ed indipendenza dal potere già nel finire dell’anno 2020.

Si legge nella decisione lusitana in commento: “Ora, date le attuali prove scientifiche, questo test sembra, di per sé, incapace di accertare oltre ogni ragionevole dubbio che tale positività corrisponde, infatti, al contagio di una persona da parte del virus SARS-CoV-2, per diversi ragioni, di cui ne evidenziamo due (più la questione del gold standard che, non affronteremo): 1) Perché questa affidabilità dipende dal numero di cicli che compongono il test; 2) Perché questa affidabilità dipende dalla quantità di carica virale presente nel campione prelevato. A una soglia del ciclo (ct) di 25, rimane circa il 70% dei campioni positivi in coltura cellulare (cioè erano infetti): in un ct di 30, il 20% dei campioni sono rimasti positivi; con una ct pari a 35, il 3% dei campioni è rimasto positivo; È con un ct superiore a 35, nessun campione è rimasto positivo (infetto) nella coltura cellulare. Ciò significa che se una persona ha un test PCR positivo ad una soglia di cicli di 35 o superiori (come nel caso della maggior parte dei laboratori statunitensi e Europei, le probabilità che una persona venga infettata sono inferiori al 3%. La probabilità che una persona riceva un falso positivo è del 97% o superiore. Ciò che emerge da questi studi è semplice: la possibile attendibilità dei test PCR effettuati dipendono, fin dall’inizio, dalla soglia dei cicli di amplificazione che si comportano in modo tale che, fino al limite di 25 cicli, l’affidabilità del i test saranno intorno al 70%; se si effettuano 30 cicli il grado di affidabilità cala al 20%; se si raggiungono i 35 cicli il grado di affidabilità sarà del 3%.

Ed ancora: “Qualsiasi test diagnostico deve essere interpretato nel contesto di possibilità effettiva della malattia, esistente prima del suo verificarsi. Per il Covid-19, tale decisione di effettuare il test è subordinata alla preventiva valutazione dell’esistenza di sintomi, precedente storia medica di Covid 19 o presenza di anticorpi, potenziale esposizione a questa malattia e nessuna probabilità di un’altra possibile diagnosi.”

Sia in primo grado che in appello, dunque, Magistrati di valore hanno sconfessato l’impianto utilizzato per terrorizzare il mondo (solo la parte “occidentalizzata”, atteso che continenti come l’Africa, non hanno seguito le stesse logiche politiche e sanitarie) riconoscendo nel tampone il precursore dell’obbligo vaccinale ed un’arma utilizzata a fini intimidatori e di tortura psicologica (“Fatevi infilare dentro il naso fino al cervello i due cotton fioc lunghi..” diceva Brunetta) contro i renitenti delle vaccinazioni, come asserito da Brunetta nel convegno di Venezia il 10 settembre 2021 (“Vi spiego il modellino comportamentale. Più crescono i vaccini più crescono i dubbi sui vaccini. Se la stragrande maggioranza si vaccina il rischio diminuisce e il costo diventa alto e quindi non mi vaccino. Si rende irriducibile – sottolineava Brunetta – uno zoccolo di opportunisti. Bisogna aumentare agli opportunisti il costo della non vaccinazione». Il ministro ha parlato di una misura «geniale». «I tamponi sono un costo psichico e monetario – aggiungeva – aumentando il costo si riduce lo zoccolo dei non vaccinati e si riduce la circolazione del virus. Il green pass ha l’obiettivo di schiacciare gli opportunisti ai minimi livelli di non influenza sulla velocità di circolazione del virus”).

Ciò premesso, appare evidente come le schizofreniche produzioni pandemiche (il cui significato terminologico e semantico è stato modificato alla bisogna, scollegandolo dall’originario parametro del numero dei morti e dei contagiati, con un operazione neolinguistica di orvelliana memoria che spiega l’espediente usato per sottolineare la natura del regime totalitario di sopraffazione di ogni opinione che si discosti da quella approvata dal potere) siano state il frutto dell’attività di una “associazione cospirativa di stampo politico – sanitario” che si è avvalsa delle paure e delle lacune del proprio sistema giudiziario (come ad esempio di quello italiano) sfuggite alla tutela delle guarentigie costituzionali od al controllo giudiziario, divenuto pilatesco, compiacente ed inadempiente al proprio dovere istituzionale di ius dicere.

In conclusione, la famosa frase “Ci sarà pure un giudice a Berlino” presa da un’opera di Bertold Brecht, oggi può essere aggiornata con “C’E’ UN GIUDICE IN PORTOGALLO“.