Erano attese le motivazioni delle Sezioni Unite penali in ordine alla configurabilità del delitto di epidemia colposa ex art. 438 c.p. mediate la tenuta di condotte omissive: il caso nasce dall’assoluzione di un delegato alla sicurezza di un ospedale sardo che non aveva predisposto i mezzi di cautela al fine di evitare il verificarsi dei contagi da Sars-Cov2 nel luogo di lavoro e tra i pazienti ivi ricoverati, virus che invece si sarebbe diffuso a causa dell’omissione di chi poteva – predisponendo i mezzi di protezione dovuti – evitare l’evento. Con la sentenza n. 27515/2025 le SS.UU. penali ribaltano l’assoluzione chiarendo che la fattispecie di cui all’art. 438 c.p., per la rilevanza dei beni giuridici protetti (la salute collettiva), deve essere interpretata avendo riguardo all’evento considerato dalla norma e non solo alla condotta tenuta dall’agente e, perciò, la fattispecie può essere contestata a chi abbia provocato o favorito involontariamente la diffusione di patogeni per negligenza, imprudenza o imperizia genericamente intesa, senza che sia richiesta una condotta predefinita ma bastando semplicemente la verificazione dell’evento epidemico. Si tratta di un delitto a forma libera causalmente orientato dall’agire (o non agire) di soggetti onerati dei doveri di protezione o garanzia del bene giuridico della salute pubblica, quando l’azione o l’omissione espone al rischio del contagio un potenziale numero indefinito di persone, altrimenti, escludendo la rilevanza delle condotte omissive, la norma troverebbe applicazione solo per lo “spargimento volontario”. Le SS.UU. precisano che la fattispecie di epidemia colposa è un reato a causalità pura caratterizzato dal principio di equivalenza tra causalità omissiva e causalità commissiva, nel senso della indifferenza del tipo di condotta tenuta (se attiva o passiva) e della rilevanza dell’evento pericoloso che la norma incriminatrice tende ad evitare indipendentemente dalle modalità comportamentali tenute. Cosi posta la sentenza appare importante per i principi che esprime, ma peccato che essi non valgono sempre, non certo per tutte le “epidemie” ma solo per quelle ritenute meritevoli di tutela (o di contrasto) in quanto conformi ad una visione orientata della sanità pubblica. Non solo, le SS.UU. danno per scontato che la condotta esigibile nel caso concreto, se correttamente posta in essere, avrebbe impedito la diffusione del virus, risultato che, per fatto notorio e provato, sarebbe impossibile da ottenere, poiché nessuna delle misure sanitarie adottabili avrebbero avuto la capacità di impedire la diffusione del Sars-Cov2 (mascherine; vaccini; green pass; tamponi; linee dedicate; isolamento; etc.). A parte dunque l’ipocrito presidio su rimedi inefficaci (se non addirittura nocivi) preteso da un “diritto presuntuoso”, ricordiamo che per epidemia si intende ogni malattia suscettibile, per la propagazione di agenti patogeni, di una manifestazione patologica in un medesimo contesto e in un dato territorio, che colpisce un numero di persone tale da destare un notevole allarme sociale. Nessuna tipicità dunque; nessun immobilismo nosografico e nemmeno alcuna preclusione oggettiva, soggettiva o causale dovrebbe limitare la portata di una fattispecie a tutela della salute pubblica, ed allora, se così stanno le cose, nemmeno si potrebbe escludere la colpa (quantomeno) per l’epidemia virale partita da Whuan, o differenziare tra epidemia di serie A e di serie B, pensando alle varie patologie causate da un altro agente patogeno, cioè il “germe” biologico a mRNA, ben più gravi di quella Covid19 causata dalla diffusione del virus Sars-CoV2. L’applicazione uniforme della massima in commento porterebbe anche alla responsabilità per epidemia di chi ha prodotto, distribuito e somministrato tale “germe patogeno”, ma oramai si sa, la giurisprudenza in Italia è on demand, ad uso e consumo degli interessi lobbistici delle elite politiche o finanziarie.