Assistiamo da circa due anni ad una narrazione unica da parte delle fonti ufficiali di comunicazione che non ammette né confronti, né repliche né soprattutto pensieri diversi. Proprio in occasione della pandemia tale modus operandi ha raggiunto dei livelli che superano l’immaginazione, sebbene da sempre la notizia sia stata manovrata ad uso e consumo del potere di turno. Come avvocati conosciamo bene l’uso strumentale della penna e della parola, la loro forza ed il loro potere così come la conoscono bene anche i Giudici, i Politici ed i giornalisti. L’uso della penna e della parola per i suddetti professionisti è necessario per lo svolgimento del loro lavoro; sono strumenti necessari al mantenimento dello stipendio, dei clienti, degli elettori e di tutti i loro privilegi. Non è però possibile, per nessuno dei predetti soggetti, superare la dignità della professione che esercitano. Magistrati, Avvocati, Giornalisti e Politici sono tutti sottoposti alla legge e questa, a sua volta è sottoposta alla Carta Costituzionale ed alle leggi sovranazionali che fanno da garanzia affinchè, nell’ambito dei rispettivi poteri, nessuno possa utilizzarli per superare la dignità umana e prevaricare i propri limiti. Delle 4 categorie le voci più libere sono quelle degli avvocati e della stampa libera, in quanto, a differenza degli altri, non sono sovvenzionati dallo Stato e sono sottoposti principalmente alla loro coscienza. Un professionista libero può scegliere mentre un professionista dipendente ha maggiori limitazioni e spesso è costretto a compromessi. Spesso, pur di mantenere il proprio “status” ed i propri privilegi è costretto anche a tradire se stesso con conseguente perdita della sua integrità. La corruzione tra i suddetti professionisti è dilagante soprattutto nell’ambito delle istituzioni. Prendiamo la categoria dei professionisti della parola e della penna, quella appartenente alla categoria dei GIORNALISTI, soprattutto quelli che appaiono come volti noti della televisione, personaggi pubblici che tutti i giorni entrano nelle case dei cittadini. Ebbene, proprio questi, hanno una responsabilità maggiore rispetto a tutti gli altri professionisti. Purtroppo, oggi più di ieri, si evidenzia una mancanza di valore nell’operare la notizia. Dall’iniziale notizia come servizio di cronaca, si è giunti oramai ad un sistematico assalto a rullo compressore dell’intimo del fruitore e stravolgimento della realtà sociale. Attualmente si osserva un mondo giornalistico connotato da una generale ignoranza ed incultura. Psicologicamente si evidenzia una inferiorità culturale che cerca la compensazione attraverso il “potere della comunicazione”. Inoltre, per necessità di sopravvivenza, molti giornalisti sono ridotti ad essere dei mercenari il cui lavoro non è certamente apprezzabile neanche da chi li paga. Sostanzialmente il giornalista ha sempre paura perché è avvezzo allo sciacallaggio nel senso che è solo bravo ad approfittare della debolezza e della difficoltà per attaccare, non è un mediatore tra il fatto e l’opinione pubblica perché è uno che sa solo criticare e non fa in quanto è incapace di fare ciò di cui scrive o dice male. In realtà, quello che oggi gli operatori della comunicazione fanno è operare una morale che è quella sistemica. Quindi non danno un’informazione oggettiva. Essi sono esponenti della politica e di quella morale sistemica che il potere politico impone. Il potere politico attuale, attraverso la copiosa legislazione, giustificata da uno stato di emergenza, sta scardinando i principi universali morali portati dalla nostra Costituzione, al fine di introdurre una nuova morale per la cui diffusione si serve dei mezzi di comunicazione di massa. I giornalisti, senza alcuna verifica critica del fondamento delle notizie che passano agli utenti, si fanno portavoce della nuova morale sistemica e memetica alla quale si aggrappano per esercitare il loro potere e nel fare questo vendono la loro anima. I morti, i bambini, i poveri emigranti, i gay, la povera gente, gli ucraini, sono i memi sui quali costruiscono ipocritamente il loro potere senza mai esercitare vera critica sulla realtà dei fatti, in ogni caso seguendo le direttive dei loro sovvenzionatori. Nell’esercitare la morale a favore dei poveri e dei diseredati essi li strumentalizzano per compensare la propria necessità di rivalsa sociale. La paura di essere messi fuori da questo status di privilegiati e di non essere in grado di affrontare la verità li induce persino a stravolgere i fatti, a censurare tutto ciò che può far crollare il castello di sabbia di cui è fatta la loro vita e la loro immagine. A guardare fino in fondo cosa producono per la società civile? Quale servizio rendono? Questo è il dramma! La funzionalità dell’informazione sta nell’interesse di chi la produce e la manipola. Tutta la comunicazione è già da tempo fortemente globalizzata, quasi del tutto “omologata” (ne sono esempio le guerre del Golfo e dell’Afghanistan). Purtroppo, nel settore della comunicazione imperversano la poca accuratezza professionale, gli interessi di parte o la malafede dei suoi operatori. Se una notizia viene lanciata da un’agenzia di stampa (dipendente o indipendente), se viene raccolta come presunta dichiarazione da parte di un personaggio “mediatico”, anche nel caso sia falsa, ha assicurata comunque una larghissima diffusione, determinando così la disinformazione e la pressione psicologica sui fruitori. E’ anche vero che spesso questa circolazione “impazzita” non nasce dalla volontà di disinformazione (ma ultimamente possiamo ancora crederci?), ma potrebbe essere frutto dell’imperizia, dell’imprecisione della fretta, della mania dello scoop a tutti i costi e del sensazionale che impera fra i professionisti dell’informazione. Essendo sempre meno sul teatro dell’azione vivono una realtà telematica e virtuale, vincolati al computer, al telefono ecc… per cui, escluso il giornalismo di inchiesta (troppo faticoso e dispendioso oltre che per farlo occorre intelligenza, fiuto, intuizione e tempo) è più facile riciclare quello che appare su altri organi di stampa, rifarsi a quanto già detto e comunicato da altri. Ciò spiega perché nei talk gli ospiti sono gli stessi e tutti si basano su quanto già detto. Di volta in volta, l’ospite di turno serve solo a creare l’interesse per lo share ma non per cercare di alimentare il confronto scientifico o di pensiero. (Anche perché forse non sono capaci di sostenere il confronto e temono che possa trapelare la loro “incultura”). Bisogna d’altra parte tenere conto che purtroppo