La Corte di Cassazione ha chiuso una faticosa vicenda processuale confermando la condanna di una sanitaria del catanese che aveva omesso di eseguire in maniera costante il controllo cardiografico e il monitoraggio della ripresa del travaglio e dei suoi effetti su una pregressa cicatrice isterotomia di una partoriente, provocando così la morte del feto. La sanitaria proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Catania che l’aveva condannata, secondo la prospettazione difensiva, nonostante che la condotta contestata (ossia l’omissione del controllo cardiografico) non fosse prevista dalle linee guida del 2012. Con una motivazione articolata, la sentenza in commento rigettava il ricorso richiamando i principi consolidati nella giurisprudenza della Cassazione penale, anche a Sezioni Unite, secondo i quali -calati nel caso specifico oggetto di giudizio- si imponeva un continuo monitoraggio fetale che, invece, veniva totalmente omesso e che, anche se non previste dalle linee guida avrebbe dovuto essere adottato in base alle buone prassi che, se poste in essere, avrebbero consentito un rapido intervento ed impedito con elevata probabilità la causa di morte del feto (rottura dell’utero). Il percorso logico argomentativo seguito dalla sentenza in commento partiva dagli arresti sulla c.d. legge Balduzzi (art. 3 d.l. 158/2012), considerata norma più favorevole rispetto all’articolo 590 sexies c.p. introdotto dalla legge Gelli-Bianco del 2017 nella parte in cui esclude dalla responsabilità penale l’esercente la professione sanitaria che, attenendosi alle linee guida ed alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, procura l’evento dannoso per colpa lieve (Cass. S.U. penali, sent. n. 8770 del 21.12.2017 Mariotti). In base alla consolidata giurisprudenza formatasi sul tema, le linee guida non costituiscono standard legali e precostituiti di un modello di colpa medica, e nemmeno hanno un carattere precettivo, ma hanno piuttosto una funzione orientativa delle condotte del sanitario, che deve comunque adeguare il proprio operato a ciò che il caso specifico richiede (Cass. Sez. IV, sent. n.16237 del 29.1.2013, Cantore; conf. Cass. Sez. IV, sent. n. 15258 del 11.2.2020, Agnello). Perciò, attenersi alle linee guida accreditate presso la comunità scientifica non “scuda” e non esonera ex sé il sanitario dalla responsabilità penale, nemmeno ai sensi della legge Balduzzi, dovendo comunque accertarsi se la specificità del quadro clinico del paziente imponga un percorso terapeutico diverso rispetto a quello indicato dalle dette linee guida (Cass. Sez. IV, sent. n. 24455 del 22.4.2015, Plataroti), con la conseguenza che, qualora esse non siano adeguate al caso specifico, il sanitario ha il dovere di discostarsene esercitando l’autonomia del proprio talento professionale per la miglior cura del paziente e per evitare “appiattimenti burocratici” (SS.UU. Mariotti). Dunque, se le linee guida si rivelino inadatte o insufficienti al miglior trattamento della situazione concreta, il sanitario che si affidi a tali strategie suggerite dal sapere scientifico è esonerato dalla responsabilità penale solo se la colpa è “lieve” e sempre che egli abbia formulato una corretta diagnosi, abbia inquadrato correttamente il caso e, tuttavia, abbia commesso qualche errore nel declinare le raccomandazioni senza che da tale colpa derivino gravi conseguenze (Cass. Sez. IV, sent. n. 16237/13 Cantore). In conclusione, nel caso giudiziario deciso dalla Corte, le linee guida non prescrivevano espressamente il monitoraggio continuo della paziente ma, visto il rischio di rottura dell’utero evincibile dalla situazione concreta, la sanitaria non solo ometteva il dovuto monitoraggio a prescindere dalle linee guida, ma addirittura nemmeno riconosceva gli indici di rischio evidenti dalla sintomatologia manifestata.