La caccola – storia breve

 

Avv. Fabrizio Perfumo

Avvocati Liberi

 

Ci sono cose che si incaricano di ricordarTi chi sei: una rete vascolare di sostanze, una anastomosi di fili nervosi. Nulla di più. Umbra et pulvis.

Ero alla Procura di Roma, tetra atmosfera in un tetro luogo, sempre inospitale al punto giusto, quello di ricordarTi che sei colpevole fino a prova contraria e che la Tua prova non avrà valore.

Attendevamo, insieme agli altri colleghi, l’arrivo del Pm e dei medici legali incaricati dell’autopsia da compiersi quella mattina.

Dovevano venire a giurare.

Un’ora di ritardo sull’orario stabilito mi aveva consentito di fare una bella sauna naturale nei corridoi da beauty farm di piazzale clodio.

D’altronde, il dieci agosto, che pensavo?

Ora, comunque, eravamo al dunque.

Ripassavo le mie cartuscelle, ricomponevo la cravatta allentata, provavo a detergermi il sudore della fronte con un fazzoletto già fradicio.

In effetti mi sembrava pure troppo: il Pm, appena giunto, era tronfio, incurante di una parola di scuse per il ritardo, scostante (un Pm comune, insomma), sfoggiava una falsa lacoste, manica corta, occhiali col laccio al collo, calzini corti da cui spuntavano i peli sopra tibiali.

Purtroppo aveva accavallato le gambe sedendosi e ne avevo dovuto subire la vista.

I medici, panciuti, indossavano calzoni classici, orrendamente larghi in fondo, cintura di pelle e camicia a maniche corte con penna nel taschino. Un orrore da autopsia. Appunto.

Si, insomma, pure troppo da parte mia voler mantenere o riprendere un contegno all’altezza. Ma sono così, sempre alieno all’ambiente che mi circonda, con un senso di inadeguatezza perennemente incombente ovunque e con chiunque.

Marcuse diceva che tale senso è segno di umiltà.

Comunque sono così. Sempre come non dovessi esserci o fossi sempre fuori posto e con lo sforzo nevrotico di doverci essere, di essere al posto giusto, di collocarmi con precisione nel mondo.

Nella fattispecie, convincendomi di essere adeguato molto più degli altri alla situazione, eccomi subito a sciorinare istanze sui quesiti da porre al consulente o sul diritto di estrarre immediatamente copia di tutta la documentazione sanitaria.

Se non che, mentre parlo con seriosità invisa a me stesso, il Pm, flebilmente, in modo strano, lui abituato a tuonare e ostentare la sicurezza di chi comanda e decide chi è buono e chi è cattivo (tranquilli: sono tutti cattivi!), mi dice : “Avvocato, scusi, vede…ha….” e non termina la frase mettendosi a fare il mimo ed accostando il pollice e l’indice al suo naso.

Il tono gentile del Pm mi ha già allarmato.

Forse perdo sangue a catinelle, ho un ictus in corso e non lo so, sono già morto e per questo merito un po’ di gentilezza ?

Ci ragiono, saetta il cervello e rapidamente mi dico che l’attività cerebrale pare intatta.

Avvocato, vede, nel naso….insomma ….dovrebbe pulirsi ……”.

Mi devo pulire il sangue da emorragia cerebrale da solo?

Disturba troppo un’ambulanza?

Ci vuole prima una richiesta scritta e protocollata da depositare all’ufficio competente provvista di marca diritti?

A destra, avvocato…”.

Mi tocco finalmente la narice destra. Intatta. Che cazzo mi sta dicendo.

Mi avvicino, con la mano a coppa, per trattenere quanto possa essere colato e….la mano tocca finalmente il buco della narice, e , ecco, sento un corpo molle fuori, duro dentro.

Oddio: è una caccola!!!!

Una caccola gigante che necessita un’asportazione immediata, un’emendazione totale.

Mi alzo di scatto, mi giro, mi allontano, esco dalla stanza tra lo stupore generale di assistenti del Pm e consulenti vari.

Fuori dalla stanza, nel corridoio infuocato, procedo, quasi frenetico, a staccare dalle carne questo corpo appiccicoso eppure solido e duro all’asportazione che sacrifica anche diversi peli del naso.

Una caccola.

Una caccola doveva colpirmi e devastarmi proprio oggi, proprio qui, proprio in Procura.

Mi rassetto. Ho gli occhi lucidi per lo sforzo di un’operazione senza anestesia locale. Torno al mio posto, tra risatine e sguardi compassionevoli, di solito riservati ai portatori di handicap gravi.

Ho ancora la mia giacca, la mia cravatta, il mio fascicolo ordinato e il mio codice di procedura aggiornato segnato da post it che ne evidenziano tutti gli articoli che potrebbero essermi utili.

Gli altri sono i pagliacci di prima.

Il Pm ha pure un codice del 2014 (in ritardo di due anni).

Eppure sono io, ora, quello meno adeguato, l’intruso.

Eterno ritorno.

Svanita ogni dignità professionale. Svanito ogni decoro. Io sono solo un portatore sano di caccola gigante.

E non importa che chi siede con me al tavolo è fatto di milioni di caccole. Se ne sono state zitte loro. Ha parlato solo la mia. Ricordandomi che tutto, ma proprio tutto, è vanità. E che basta una sola caccola a ricordarlo.

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